sabato 2 marzo 2013

La crisi di un modello sociale: Detroit

Il simbolo di quella che non possiamo più evitare di chiamare la più grande crisi economica dell'era moderna è una città americana che invece, così vanno i contrappassi della storia, era divenuta a partire dagli anni '50 la capitale mondiale dell'auto: Detroit.

Quello che ha rappresentato Detroit non solo per gli Stati Uniti ma per l'intero Occidente è stato molto più che una idea di sviluppo. Per la maggior parte degli economisti e dei sociologi del periodo Detroit era un vero e proprio modello sociale. Si era arrivati, potere dell'economia di mercato, a modellare il tessuto urbano seguendo i traccianti delle catene di montaggio. Così se Henry Ford aveva piazzato in centro città (downtown) la sede della primissima fabbrica Ford, già dagli anni Sessanta le altre case automobilistiche che in poco tempo erano nate, su tutte Packard, Crysler e Cadillac, decisero di spostare la produzione nei sobborghi, sfruttando ovviamente il costo inferiore degli edifici e la possibilità di costruire a dismisura.

Stiamo parlando di un boom economico che fece ingigantire la capitale del Michigan, in pochi anni, sino a contare oltre due milioni di abitanti. Come sempre, con la crescita economica fecero capolino anche le tendenze, anche culturali. Sul piano musicale, ad esempio, la nascita dell'etichetta discografica Motown con il lancio, tanto per fare un nome, di Stevie Wonder, marchiò indelebilmente un intero periodo. La città dei bianchi, siamo nel freddo Michigan, terra di laghi al confine canadese, in poco tempo divenne la città multirazziale, naturalmente con enormi problemi di integrazione. La Motown stessa era simbolo di musica nera, pur essendo distante migliaia e migliaia di chilometri dalla sua capitale: Memphis.
Con il passaggio da downtown alle periferie, già molti edifici del centro erano stati abbandonati, rendendo qualche zona della città spettrale.

Le notizie di oggi raccontano invece della dichiarata bancarotta di Detroit e del suo tramonto (non azzardiamo la parola definitivo). Eppure in tanti hanno cercato di porre rimedio ad una crisi senza fine. Ultimo in ordine di tempo ma più importante  il Presidente Obama, che non meno di tre anni fa, anche grazie all'acquisto da parte della FIAT di Marchionne della Crysler, aveva promesso di ridare vigore (si legga: con fondi pubblici) alla vecchia capitale dell'auto. Niente.

Detroit nel 2013 conta 713.000 abitanti, con più di un milione di persone che si sono volatilizzate, lasciando uno scenario urbano mortificante ed una sociale senza pari. Il 20% di coloro che sono rimasti sono disoccupati, mentre il 38% vive sotto la soglia dell'indigenza. Il personale comunale, per volere del Sindaco, è stato ridotto di 2.000 unità, oltre ad aver dimezzato gli stipendi, ma il crollo delle entrate è stato fatale per le casse comunali.

Fuori del perimetro cittadino, nelle campagne, restano le fabbriche della Crysler, in questo momento con buoni risultati di vendita, ma la città non risente di questo piccolo influsso benefico.
Senza l'apporto fondamentale del volontariato Detroit sarebbe una città completamente allo sbando, anche se gli omicidi e le guerre tra bande si susseguono, in una storia che assomiglia molto più a The road di Cormac McCarthy ma purtroppo è quotidiana realtà.

Facendo un giro approfondito nella rete, ho trovato due siti diversi tra loro ma fondamentali per comprendere quanto questo modello sociale sia stato deleterio nello sviluppo armonico del territorio.
Su questo sito The ruins of Detroit trovate una serie di foto drammatiche e sconvolgenti dello stato di abbandono nel quale attualmente vive Detroit.
Vi propongo inoltre questo sito Capuchin Soup Kitchen di presentazione del lavoro di volontariato che viene svolto dai Cappuccini nella capitale del Michigan. 

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