giovedì 23 agosto 2012

Generazione Perduta

Generazione Perduta


Ho firmato il manifesto di Generazione Perduta.
Ci sono molteplici motivazioni che mi hanno spinto a sottoscrivere il documento. A noi abitanti della via di mezzo tra i trenta ed i quaranta, non hanno spiegato molte cose.
La prima, non hanno saputo spiegarcela né la scuola né l’università. E cioè l’assoluta mancanza di una corrispondenza tra studio e lavoro, o meglio ancora l’impossibilità di proseguire con il modello occupazionale delle generazioni che ci hanno preceduto. I giovani che adesso si trovano tra i banchi di scuola o nelle aule dell’Università sono consci di un futuro terribile. Il telegiornale li bombarda di notizie su un domani legato al contratto a termine, alla disoccupazione. Sono i ragazzi con i quali, da Responsabile dei Servizi Sociali e da progettista, lavoro anche io. E sono incredibilmente realisti e consapevoli. E paradossalmente, sono preparati a reagire. Un percorso universitario più mirato, un corso professionalizzante con una decente aspettativa occupazionale. Oppure la mente già predisposta a fuggire all’estero.
A noi no. Quando alla fine degli anni ’90 dovevamo decidere quale strada prendere dopo la maturità, gli indirizzi Universitari erano quelli dei nostri genitori, dei nostri nonni. Ed allora tutti a Giurisprudenza, Filosofia, Ingegneria. La prima e l’ultima soprattutto, Giurisprudenza ed Ingegneria, erano una certezza. Lo dicevano i professori a scuola. Andate a vedere le iscrizioni di quegli anni in queste due facoltà. Numeri da capogiro. Qualche anno dopo, uscì la notizia (quasi trattata come gossip) che c’erano più avvocati a Roma che in tutta la Francia. Oggi, le fabbriche che avevano assunto ingenieri come se piovesse chiudono al ritmo di una al giorno. Ma nessuno  riuscì a prevedere che, con qualunque titolo e con qualsivoglia qualifica, non avremmo mai raggiunto un contratto a tempo determinato.

Ho messo il mio nome nel manifesto di Generazione Perduta perché la politica, nella confusione preoccupante nella quale vive, sta cercando di dare risposta (senza riuscirci) a chi sta maturando i diritti della pensione, a chi li ha maturati e stamattina leggo sul Corriere della Sera che il Ministro delle Politiche Sociali proporrà a breve un pacchetto rivolto ai giovani. E a noi? In questo momento chi può dare spinta propulsiva immediata in questo paese siamo noi, disastrati trenta/quarantenni con mille idee in testa e nemmeno un alito di  credito da parte degli Istituti Bancari. Da domattina noi potremmo mettere in pratica le idee. Dare circolazione agli studi fatti, alle letture, alle esperienze all’estero, alla lingua inglese che leggiamo con la stessa velocità del nostro stupendo italiano. Questa mia generazione di idealisti senza speranze contribuisce ogni giorno alla crescita del paese, ma differentemente da quelle che l’hanno preceduta, non ha costruito  nessun debito pubblico e non andrà in pensione a 39 anni solo perché lavora alle Ferrovie dello Stato.

Chi ci condurrà fuori da questa crisi? Mi piacerebbe dire che anche noi potremmo dare il nostro sostanzioso contributo. Temo che invece così non sarà. Guardiamoci intorno: nessun politico affermato ci rappresenta. Chi cercherà di risolvere il debito, la crisi del lavoro, il problema dell’ecologia, chi dovrà riformare il mondo del lavoro, chi dovrà dialogare con i nostri cugini europei, sono persone che hanno assistito al declino del nostro paese senza denunciare mai nulla. Qualcuno ne è stato causa. Noi no. Sarebbe un buon curriculum vitae poter dire che la mia generazione, con le crisi di questo Paese, non c’entra niente ed ha solo voglia di dare il proprio contributo. Ma in Italia il curriculum vitae……

Merito, questa è la parola che dovrebbe essere obbligatoriamente citata in ogni legge da qui in poi. Chi vale venga apprezzato, venga riconosciuto. O magari solo venga confermato nel suo posto di lavoro (inutile chiedere l’iperuranio platonico). Questa generazione di trenta/quarantenni la parola merito non sa più come declinarla. Ci lasciano il merito nella nostra vita privata, affettiva, di hobby che qualcuno, senza lavoro e senza prospettiva, cerca di far divenire professione. Ci lasciano le belle sperimentazioni di MACAO a Milano e del Teatro Valle a Roma, guardandoci col sorriso beffardo di chi ci pensa rivoluzionari utopisti.

La Generazione Perduta, acronimo che coniò Hemingway, deve guardare ad un futuro. Non solo perché senza una prospettiva le nostre vite sarebbero difficili da riempire di significato. Ma anche perché esistono delle realtà che hanno cambiato il costume (o il malcostume) mutandolo in buone prassi. La politica miope delle nostre istituzioni non guarda a quello che succede al di là del muro.
Noi invece abbiamo la possibilità di leggere in altri scenari il racconto di una mutazione che può, e deve, essere replicata. In America Latina una intera generazione nata intorno ai Movimenti (apartitica, ma non apolitica, perché le idee sono necessarie) ha permesso a molti paesi di portare al capo del governo un leader venuto dal “basso”, senza tessera politica ma solo in quanto esponente di un movimento. E non è così distante da noi quella generazione che in Messico ha preso a sfilare per le strade raccogliendo il sostegno degli Universitari e dei propri genitori. Senza alcun vessillo, ricordando che c’è una intera società che viene dimenticata e sulla quale non si punta.
Se avessimo una classe politica lungimirante, dovrebbe porre attenzione  a questa esperienza sudamericana, che nasce (guarda caso) da una crisi economica drammatica e dalla richiesta di banche estere di rimettere il debito, costi quel che costi (la cosiddetta macelleria sociale).

Nessuna generazione, a ben vedere, è perduta se sa riconoscere le proprie difficoltà e soprattutto se lotta per riprendersi i propri diritti.
Rispetto. Merito. Impegno. Progetto. Fiducia.
Sono le cinque parole che, da trentaquattrenne, trovo più necessarie e vicine a me in questo momento della vita.   


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